GRAZIE, PROFESSORE
Da pochi mesi è morta la mia mamma, e oggi è morto anche Franco Cordero, il professore di procedura penale con cui mi sono laureata e con il quale ho lavorato come assistente di cattedra per circa 10 anni nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza.
Questa sera mi sento ancora più sola e più triste. Nella mia mente, si affollano infiniti ricordi.
Al quarto anno di università sostenni con lui l’esame di procedura penale, avevo studiato per mesi il suo manuale, un testo difficilissimo: mi ero appassionata alla sua visione del processo penale come un procedimento metabolico, con percorsi predefiniti dai quali non si può derogare.
Ebbi la fortuna-sfortuna di studiare procedura penale nel passaggio tra processo inquisitorio e accusatorio, una difficoltà nella difficoltà. Feci l’esame con due ricercatori della cattedra, presi 30; poi, attratta dalla forza carismatica di Cordero ebbi la sfacciataggine di chiedere la domanda con lui, per la lode.
Quando mi concesse la lode gli chiesi se potevo preparare la tesi di laurea con lui. Mi ricevette dopo qualche giorno: mi assegnò ad un suo assistente, con una tesi dal titolo pazzesco: “Tecnica e politica legislativa dell’istituto delle nullità dal diritto romano al nuovo codice”. Era la seconda metà degli anni ‘80: non c’era internet, le ricerche si facevano sui libri, si facevano migliaia di fotocopie e si scrivevano gli appunti a mano.
Mi appassionai molto alla mia tesi, incontravo con regolarità il mio assistente che però un giorno mi disse che non poteva più seguirmi. Mi consigliò di andare dal professore,
per chiedere di essere assegnata ad un altro collega. Mi feci coraggio e bussai alla porta di Cordero, gli ricordai chi ero e che tesi stavo scrivendo, lui mi ascoltò con attenzione poi tacque; in quegli attimi di silenzio guardavo i suoi occhi vivissimi, il suo sorriso appena accennato, poi la sua voce mi gelò: “Signorina non si preoccupi, vada avanti nel suo lavoro; poi, quando avrà terminato, porti a me il manoscritto, la seguirò io”.
Tornai a casa disperata e dissi ai miei genitori che non mi sarei più laureata! Come avrei mai potuto portare un manoscritto ad un luminare come Cordero?
Furono mesi terribili: scrivevo, cancellavo, riscrivevo, cercavo altre fonti e nel frattempo ultimavo gli esami. Alla fine mi decisi, tornai in facoltà e consegnai, con estrema umiltà, il mio manoscritto al professore.
Mi laureai qualche mese dopo e appena terminai la seduta di laurea, Franco mi raggiunse fuori dalla sala delle lauree per farmi i complimenti e poi mi disse, con il suo leggero accento piemontese: “Se vorrà restare come cultore della materia presso la mia cattedra, la attendo domattina in istituto”.
Una gioia immensa, il cuore in gola, la sensazione che il merito esiste e può essere premiato.
Franco Cordero era un grande professore, l’insegnamento era la sua unica attività insieme alla ricerca e alla scrittura.
Un pensatore raffinato, un interprete puntiglioso e preciso, un amante della lingua italiana.
Mi rimproverava spesso, negli anni in cui ho lavorato con lui, e mi sembra di sentire ancora la sua voce: “Dottoressa, lei li aiuta troppo questi studenti, gli spiega tutto, fa schemi e appunti, non va bene! Li lasci tribolare sul manuale, devono studiare e capire, se saranno magistrati o avvocati avranno a che fare con la vita delle persone, devono essere preparati”.
Agli esami, si raccomandava sempre che la prima domanda fosse storica, per capire se gli studenti avessero studiato sul suo testo.
Qualche sera d’inverno, soprattutto nei lunghi giorni degli esami, gli offrivo un passaggio in auto fin sotto casa, oppure sotto lo studio, un posto incantato e magico dove lui scriveva tra migliaia di libri e raccolte di sentenze.
Franco era uno sportivo, e soprattutto un grandissimo camminatore, spesso lo si poteva incontrare in tuta a Villa borghese. Forse anche per questa sua passione non aveva la patente.
Lo facevo salire sulla mia vecchia Fiat 500, giravo la chiave facevo partire il motore con la levetta dell’accensione e ingranavo la prima , poi la seconda e forse la terza, ogni tanto dal cambio si percepiva un leggero rumore, allora lui mi guardava con quel suo sorriso appena accennato e mi diceva : “Dottoressa, non ha cambiato bene, non ha fatto la doppia con la frizione!”. E io: “Prof., ma lei non guida cosa che ne sa della doppia debraiata? Del cambio non sincronizzato di questa vecchia auto?” E poi ridevamo sul suo essere prof., sempre.
Sì, prof. sempre, un grande maestro di diritto, di libertà e garantismo: mi ha insegnato ad essere sempre ribelle davanti ad ogni diseguaglianza, ad ogni ingiustizia, ad ogni negazione della dignità. Mi ha insegnato il valore della libertà di coscienza, l’importanza dello studio e della riflessione, sul diritto e non soltanto.
Di tutto questo Franco Cordero è stato maestro, per le generazioni di allievi che ha accompagnato. A loro, e all’Italia, lascia la testimonianza di una vita libera e autentica, coerente nelle convinzioni e conseguente nelle
azioni; del coraggio e dell’impegno civile, da quando resistette con determinazione alla cacciata dall’Università cattolica fino agli anni della resistenza al Signor B., al quale seppe contrapporre la forza dei principi, l’importanza delle garanzie, l’eleganza e lo stile inconfondibile nel partecipare alla vita pubblica. Con Franco Cordero, scompare un pilastro della cultura italiana del Novecento, un punto di riferimento negli studi processualpenalistici, ma anche di filosofia del diritto e non solo: penso ai suoi bellissimi romanzi, alla sua incessante produzione saggistica.
Ci lascia più soli e più tristi, ma con un’eredità luminosa e importante da coltivare.
Grazie, Prof.
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