Il futuro del PD
Caro Segretario,
ricevo da semplice iscritta la tua lettera e ne sono felice perché da non eletta ho finalmente la piena libertà di dire e fare. Non che prima non l’avessi: sai che sono sempre stata una ribelle, ma l’appartenere ad un gruppo parlamentare prevede una postura e un ordine che spesso mi hanno frenata dal dire e fare ciò che mi sentivo.
Faccio parte della direzione nazionale del PD, organo che tu hai convocato per il 6 ottobre. Si prospetta una direzione nella quale, alla luce della tua lettera, tutto è già pronto, impacchettato e approvato dalle correnti, vista la batteria di agenzie in tuo supporto che stanno uscendo in queste ore.In tutta onestà, penso che questo sia un approccio del tutto sbagliato.
La prima direzione nazionale dopo una sconfitta del genere, mi viene da dire “epocale”, dovrebbe essere libera di far esprimere tutte e tutti. Una direzione d’ascolto e di umile analisi, con interventi di tutto il gruppo dirigente a cui va chiesto di ammettere, innanzitutto, le responsabilità collettive. La tua proposta è una frettolosa ripartenza, che mette da parte l’analisi e l’ammissione degli errori. Da anni ci sottraiamo dall’agire il nostro conflitto interno, sedato ai vertici sempre e solo con un meticoloso uso del metodo Cencelli tra correnti e, invece, cresciuto costantemente tra la nostra gente, ignorata e relegata all’impossibilità di contare e farsi sentire. Un conflitto sui grandi temi che toccano la vita quotidiana: lavoro, lotta alla precarietà e alle disuguaglianze, caro-vita, economia, ambiente e transizione ecologica, diritti e uguaglianza.
E’ per questo che abbiamo perso: perché non siamo riconoscibili né come soggetti con un’identità chiara né riformista di sinistra, né liberista, né socialdemocratica. Non a caso il M5S ci ha superati in corsa e a sinistra, acconciandosi, furbescamente, sui temi del lavoro e della difesa degli ultimi.
Nella tua lettera proponi un congresso costituente in quattro fasi:
1) la chiamata: un film già visto nelle Agorà democratiche, un’iniziativa dalle ottime intenzioni che, però, non ha dato i risultati sperati;
2) i nodi: ancora? Ancora non li conosciamo? Sono tutti quei temi su cui siamo stati silenti, pavidi, titubanti, quelli su cui abbiamo preso direzioni che dovrebbero essere opposte alla nostra, quelli che hanno accresciuto quel senso di estraneità che il popolo sente guardando a noi e ci hanno relegato nelle ZTL delle grandi città. Noi non parliamo più ai lavoratori, ai giovani, alle donne, a chi non ce la fa, né alle piccole e medie imprese schiacciate dal fisco né alle famiglie devastate dall’inflazione e dal caro bollette. Non li conosciamo più.
3) il confronto: la scrematura delle candidature emerse? Da dove? Dalla conta tra le correnti con maggior rappresentanza interna? Quindi tra chi ha avuto maggior “accesso e accoglienza” nelle federazioni locali tutte balcanizzate.
4) le primarie: tu dici che saranno i cittadini a scegliere e poi aggiungi “a regole vigenti”.
Ecco, ricordiamo le regole: gli iscritti ai circoli votano i candidati alla leadership nazionale e i primi due saranno selezionati per il ballottaggio. Questi due andranno alle primarie aperte a tutte le elettrici e gli elettori. Però va ricordato che le candidature alla segreteria nazionale devono essere sottoscritte dal 20% dei componenti dell’assemblea nazionale, oppure da iscritti al Pd (tra i 4 e i 5 mila) distribuiti su almeno 12 regioni con almeno 100 firme per regione.
Ti chiedo: chi può fare questo? Solo candidati ben strutturati in una o più correnti, perché solo loro hanno tessere e iscritti. Esattamente il meccanismo e la logica da cui è necessario uscire
.E allora? Chiudo dicendoti che il 6 ottobre sarò in direzione, ma poiché dubito che sarà un confronto vero, salvo meravigliose sorprese, ti anticipo qui i miei pensieri e, ovviamente, ti annuncio il mio voto contrario.
Ci sono altre strade possibili per rinnovare e, forse, per rinascere. Ma ci vuole, prima di tutto, un’ammissione di responsabilità e un passo indietro di tutti i dirigenti apicali.
E poi luoghi veri, con tante assemblee aperte, per discutere davvero senza pregiudizi e senza soluzioni già pronte e sottoposte, come accadrà il 6 ottobre, al “prendere o lasciare”. Questa è la strada, se vogliamo veramente ripartire e rinascere: una svolta chiara, decisa, non fraintendibile, ferma.
Non altro.