Lettera ad Ezio Mauro – Direttore de “La Repubblica”
Ezio Mauro, Direttore de La Repubblica.
Con preghiera di pubblicazione.
Caro Direttore,
Le chiediamo ospitalità per provare a mettere un po’ di laico ordine nel complicato discorso pubblico sulla stepchild adoption, istituto che è parte qualificante del ddl sulle unioni civili. Una legge urgente e necessaria, visto che la sua assenza fa dell’Italia la Cenerentola dei diritti fra i paesi occidentali. Una legge attesa da anni, da sempre violentemente contrastata dentro e fuori il Parlamento dal fondamentalismo ideologico e conservatore con una crociata che ha ricevuto negli ultimi giorni insospettati, imprevedibili e sconcertanti soccorsi dal fronte progressista.
Pensiamo che un racconto della realtà meno forzato e ideologico comprenda anche l’uso di un lessico civile: non riteniamo che qualcuno parlerebbe mai di “sperma a noleggio” per la fecondazione eterologa con donatore maschile. Non vediamo quindi perché si chiami “utero in affitto” la pratica della gestazione per altri o GPA. Lo sottolineiamo scrivendo ad un grande giornale nazionale che interpreta fin dalla sua fondazione le sensibilità, i valori e le idee di un’opinione pubblica laica e progressista e che per ciò riteniamo abbia un ruolo fondamentale su temi che si prestano facilmente ad un approccio dogmatico o irrazionale.
Cerchiamo innanzitutto di capire di cosa stiamo parlando: tuteliamo l’interesse della donna a non essere mercificata, come avverrebbe attraverso la GPA secondo le firmatarie dell’appello di “Senonoraquando”? O ci preoccupiamo del “diritto del bambino ad avere una mamma e un papà”, come scandiscono in coro altre voci?
Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, non intendiamo avventurarci sullo scivoloso terreno di quale sia il modello familiare ideale per il corretto sviluppo della personalità di un bambino. Riteniamo basti l’elementare constatazione che la realtà è molto più ampia e complicata rispetto allo “stereotipo del Mulino Bianco”; e quand’anche esistesse un modello familiare astrattamente desiderabile, non esiste di certo la possibilità concreta, e tanto meno quella giuridica, di riconoscerlo come l’unico valido ed applicabile per tutti.
Occupandoci di bambini che sono già nati e che già vivono in una famiglia nella quale il genitore biologico convive con una persona dello stesso sesso, noi pensiamo che l’unica cosa che un paese civile possa riconoscere loro è il diritto di essere sostenuti, assistiti, curati e amati da entrambi i componenti adulti della loro famiglia e non da uno soltanto.
Rifiutiamo l’idea che questi bambini siano dichiarati parzialmente orfani per legge, rifiutiamo l’idea che si debba far loro pagare una colpa legata alle modalità del loro concepimento, creando magari forme di filiazione ad hoc pasticciate e discriminatorie, con il solo scopo di punire i loro genitori con ulteriori giudizi morali più o meno gravi, a seconda del tipo di coppia: lievi per gli eterosessuali, gravi per le coppie di lesbiche, gravissimi e passibili addirittura di condanna penale per le coppie gay. Non sentiamo nessuna nostalgia del tempo in cui i figli avevano qualifiche e status diversi a seconda dei tempi e dei modi del loro concepimento e non vogliamo che si torni a quella barbarie.
Si obietta però che, potendo il genitore sociale adottare il figlio biologico del partner a fronte della rinuncia dell’altro genitore (è questo il meccanismo della stepchild adoption), verrebbe così incoraggiato il ricorso alla GPA e di conseguenza lo sfruttamento della donna, come sostengono le firmatarie dell’appello di Senonoraquando.
Si tratta, naturalmente, di una deduzione senza premesse e senza un contesto normativo di riferimento. L’appello pubblicato da Repubblica nasce in Francia ed è un errore decontestualizzarlo: lì esiste il matrimonio egualitario e l’adozione è aperta anche alle coppie gay e lesbiche. Da noi, nel deserto normativo, un appello del genere non ha alcun senso, è solo fuorviante e dannoso. Va chiarito ancora una volta che la GPA in Italia è vietata dalla Legge 40 e che tale resterà anche dopo l’approvazione del ddl sulle unioni civili. E va ricordato che l’utilizzo all’estero della GPA è appannaggio nove volte su dieci di coppie eterosessuali sterili, per le quali il riconoscimento del figlio è pacificamente previsto senza avere destato fino a oggi (chissà come mai) remora alcuna attraverso il discutibile meccanismo della presunzione di concepimento.
La quotidianità ci dimostra che è arbitrario ritenere che le coppie omosessuali rinuncino al loro desiderio di genitorialità per una mera questione di stato civile. L’umanissimo desiderio di amare, crescere ed educare un figlio avrà sempre, sulla bilancia della vita, un peso superiore a quello di un certificato anagrafico. Tanto più che la stepchild adoption, lungi dal conferire diritti, assegna invece al genitore sociale che compie questo passo precisi doveri.
Rimane la questione dello sfruttamento della donna. È un’evenienza che va sicuramente scongiurata, ma che non può giustificare il tentativo di limitare la libertà di scelta delle donne. Non vogliamo di certo assumere il ruolo di teorici del femminismo, ma ci pare che il fil rouge nella storia del movimento di emancipazione delle donne sia consistito proprio nell’appropriarsi in toto del proprio corpo e delle sue funzioni, compresa quella riproduttiva, scelta che spetta in esclusiva alla donna in piena libertà e autodeterminazione.
Se si rivendica (giustamente) il diritto delle donne alla maternità consapevole, se si difende (giustamente) il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, se nessuno mette in discussione il diritto della donna che abbia partorito a disconoscere il proprio bambino (cosa che peraltro viene caldeggiata da parte di alcuni movimenti integralisti come “male minore” rispetto all’aborto), su quali fondamenti impediremo a qualsiasi donna di compiere quello che può essere (come attesta la bella intervista di Annalisa Cuzzocrea che avete pubblicato oggi, peraltro con un titolo che ne distorceva completamente i contenuti) un atto di generosità e di dono?
Ci spiace per la necessaria lunghezza di questo intervento: le suggestioni e le distorsioni del dibattito sull’argomento rendono a volte necessario spiegare anche l’ovvio. Noi pensiamo sia un bene che su temi del genere ci sia discussione, approfondimento, persino conflitto. Ma proprio per questo riteniamo che una scelta di campo sia dirimente. Il confronto deve essere leale. Chiediamo a chi si oppone a questa legge, da destra e da sinistra, di avere la consapevolezza che l’Italia ha bisogno ora di una legge di civiltà, chiediamo loro proposte e non manovre che hanno come unico scopo lo svuotamento del testo. Chiediamo a tutti di non ingannare i cittadini con spauracchi inesistenti, strumentali e pretestuosi.
Chiediamo inoltre la collaborazione dei mezzi di informazione, a cominciare da Repubblica, perché la stampa progressista può fare la parte più importante, quella che meglio sa svolgere: informando e formando alla cultura e al rispetto delle differenze la nostra opinione pubblica. Un’opinione pubblica che, evidentemente, non ha ancora avuto gli strumenti e l’informazione necessaria a comprendere ciò che è ormai chiaro ai cittadini di tutte le democrazie occidentali: che persone, coppie e famiglie omosessuali sono esattamente uguali a persone, coppie e famiglie eterosessuali. L’uguaglianza in Italia non basta più vederla scritta nella Costituzione: essa deve tradursi concretamente nella pari dignità di tutti davanti alla legge e nella vita di tutti i giorni. Non solo nell’interesse delle persone omosessuali, ma nell’interesse di tutti gli italiani.
Monica Cirinnà, Senatrice della Repubblica
Ivan Scalfarotto, Sottosegretario alle riforme costituzionali e ai rapporti con il Parlamento